Ma non è
questo quello che voglio raccontarvi. Voglio parlarvi invece del Peter Cat. Cosa
c’entra un gatto, vi chiederete. Ora ve lo spiego, ma andiamo per gradi.
Se qualcuno di voi ha letto “A sud del confine, a ovest del sole” ricorderà sicuramente i jazz
bar di proprietà del protagonista Hajime, che sono un po’ il suo rifugio e il suo
luogo di evasione dalla realtà. Inutile dire che, solo leggendo di quei locali,
si è trasportati in un’atmosfera magica: le luci soffuse, gli arredi in legno, la
band, i cocktail, le persone che entrano e escono, che si incontrano…si riesce
quasi a sentire la musica; e il proprietario del bar che inventa cocktail,
chiede e mette su musica, legge libri e ascolta i clienti. Viene da chiedersi
da chi l’autore abbia preso ispirazione per tale aspetto di questo personaggio.
La riposta è la più semplice che si possa pensare: da se stesso. Peter Cat è in
effetti il nome di un gatto che lo scrittore ha avuto con sé in un periodo
della sua vita, ma non solo. È cosi che si chiama anche il jazz bar che Murakami
apre nel 1974 a Tokyo, insieme alla moglie; caffetteria di giorno, drink bar di
notte.
Il locale, prima ubicato nei sobborghi di Tokyo, poi in una zona più
centrale vicino alla stazione di Sendagaya, ha sull'insegna un enorme Stregatto
e all'interno tutte le decorazioni sono a tema felino (immagine un po’
inquietante, a dire il vero). È proprio in questo locale che Murakami dà
sfogo alla sua vena letteraria e scrive i suoi primi romanzi. Purtroppo per noi,
del jazz bar non c’è più traccia. Murakami è così bravo con le parole che
presto inizia a vivere della sua scrittura e nel 1981 vende il locale. Alcuni
temerari sono andati alla sua ricerca, ma, una volta individuato l’edificio, al
posto del jazz bar non hanno trovato altro che un comune ristorante.
Del Peter Cat resta quindi soltanto il ricordo, alcune immagini e le parole di Murakami nel suo saggio “L’arte di correre”:
Murakami nel suo locale nel 1979
Edificio che ospitava il Peter Cat
Del Peter Cat resta quindi soltanto il ricordo, alcune immagini e le parole di Murakami nel suo saggio “L’arte di correre”:
“Fino a poco tempo prima gestivo un jazz-club a Tokyo vicino alla stazione di Sendagaya. Appena laureato (in realtà lavoravo già da prima, motivo per cui ero in ritardo con gli esami) ho aperto un bar all'uscita sud della stazione di Kokubunji, ma dopo tre anni, dato che il palazzo sarebbe stato ricostruito, mi sono trasferito in centro. In un ambiente non molto spazioso, ma nemmeno piccolo. C'era posto a sufficienza per un piano a coda e un quintetto, anche se ci stavano un po' stretti. Durante la giornata il locale era un caffè dove non si servivano alcolici, e la sera diventava bar. Si poteva anche mangiare qualcosa, e nei fine-settimana c'era in programma musica dal vivo. All'epoca i locali come quello erano pochi, i clienti non erano esigenti e la gestione non presentava particolari difficoltà.La maggior parte dei miei conoscenti sosteneva che un posto così, con quell'atmosfera inusuale, non aveva possibilità di successo; che uno come me, del tutto ignaro di come va il mondo, non aveva la capacità di mandarlo avanti. Queste previsioni funeste si rivelarono clamorosamente sbagliate.”
Voi
cosa dite, sareste passati per un caffè o un cocktail nel jazz bar di Murakami?
Io decisamente sì.
Cris
Io decisamente sì.
Cris
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